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La storia del bikefitting

Dove nasce il bikefitting?

Il primo periodo inerente il “bikefitting” è stato caratterizzato da un processo di scoperta e di apprendimento. Ciò ha contribuito a plasmare il modo in cui vengono eseguiti gli adattamenti della bicicletta nelle cliniche, nei negozi e nei laboratori di oggi.

In questo articolo esamineremo insieme le nozioni storiche della biomeccanica del ciclismo e del bikefitting come un’attività consolidata al giorno d’oggi. Identifichiamo le 3 pietre miliari di natura tecnologica più rilevanti nella storia del ciclismo che hanno contribuito all’ascesa del bike fitting e della biomeccanica del ciclismo. Esaminiamo anche le pratiche comuni utilizzate nei primi anni di posizionamenti in sella, per arrivare allo sviluppo di moderni strumenti computerizzati che guidano il processo di bikefitting nei servizi odierni. 

L’adattamento di un particolare apparecchio o strumento al suo utilizzatore (in questo caso la bicicletta e i suoi componenti) è da sempre una preoccupazione per l’umanità e gli sportivi e il concetto di “fitting” , quindi, non è assolutamente nuovo. Dalle scarpe, alle solette, ai vestiti, ai cappelli o anche ai guanti, un adattamento adeguato all’antropometria individuale non solo migliora il comfort ma anche la funzionalità.

Nella lettura di questo articolo si vedranno menzionati i punti di riferimento più importanti del ciclismo e le misure delle biciclette che hanno plasmato il modo in cui vengono utilizzati gli strumenti per il bikefitting odierno.

bikefitting

Le prime ricerche sul bikefitting negli anni ’70

Il primo vero e proprio studio sull’altezza della sella è stato condotto nel 1939, ma gli studi sul ciclismo sono stati pochi e abbastanza superficiali fino alla fine degli anni ’90, con 2 o 3 studi pubblicati su riviste scientifiche di revisione paritaria, ogni decennio. Nel 2005, invece, si è verificato un netto aumento degli studi pubblicati, arrivando ad 8 in un anno. Dal 2010 il termine “biomeccanica del ciclismo” ha iniziato ad essere utilizzato molto più regolarmente e tutta la ricerca nei motori di ricerca riguardanti l’altezza della sella è stata via via integrata in questo più ampio campo di ricerca. La figura 1 mostra come la ricerca riguardante la biomeccanica non sia ancora molto alta se la confrontiamo con il numero di studi contenenti le parole chiave “dolore al ginocchio”.

biomeccanica

La biomeccanica del ciclismo è, quindi, un campo piuttosto giovane ed è, per me, molto entusiasmante perché significa che c’è ancora tanto da imparare e scoprire.

Per quanto abbiamo potuto scoprire, tutto è iniziato negli anni ’70. Il termine bike fitting è apparso per la prima volta nella letteratura scientifica nel 1998. Prima di allora, il bikefitting non era esattamente preciso, ma era più un “dimensionionamento” peronalizzato della bici. A quel tempo, i costruttori di biciclette utilizzavano misurazioni statiche per costruire diverse geometrie del telaio per i ciclisti. Nel decennio tra il 1970 e il 1980, la maggior parte dei produttori di telai utilizzava il manuale del ciclismo o il metodo CONI.

Il manuale del CONI è un libro molto particolare e anche, se vogliamo, storico sul ciclismo perché, su questo libro è stato pubblicato (probabilmente) il primo tentativo di approccio scientifico al dimensionamento (bikefitting) della bicicletta. In questo manuale, gli autori hanno incoraggiato il lettore a prendere misurazioni statiche da un ciclista e confrontarle con i dati normativi acquisiti dalla Federazione Ciclistica Italiana.

Il metodo CONI ha fallito in quanto le linee guida generali proposte erano troppo lontane dalle misure antropometriche e prestazionali del ciclista medio. Nello stesso periodo, o comunque in quello imminentemente successivo, Ben Serotta ha individuato alcuni limiti del metodo CONI e si è mosso verso un approccio individuale, lontano dalle linee guida generali. Ben ha costruito quello che può essere considerato il primo “Bikefitting” chiamato SizeCylce.

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Il SizeCylce era un ergometro regolabile utilizzato per progettare biciclette su misura, anche siamo ancora molto nell’ambito del dimensionamento delle biciclette e non ancora della biomeccanica.

Questo metodo è stato utilizzato fino a quando William Farrell della New England Cycling Academy non ha sviluppato il primo sistema di bikefitting ampiamente disponibile al mondo: il FitKit. Il FitKit consisteva nell’unire alcuni strumenti al fine di effettuare misurazioni statiche, un software per registrare dati e grafici normativi (che fornivano una stima approssimativa delle dimensioni della bicicletta). Ma William Farrell è stato anche inventore del primo strumento per il montaggio di biciclette appositamente costruito nel 1981, il R.A.D. , o “dispositivo di regolazione della rotazione”.

Il RAD è stato utilizzato per l’allineamento delle tacchette, più o meno nello stesso modo fondamentale in cui funzionano i moderni strumenti di posizionamento delle tacchette (tralasciando il fatto che abbiano un margine di errore spaventosamente alto…). Per la prima volta, meccanici di biciclette, allenatori e fisioterapisti sono stati in grado di ruotare la scarpa medialmente o lateralmente e quantificare tale rotazione. Un vantaggio di questo metodo e strumento era la possibilità di raccogliere centinaia di dati dai ciclisti che si lamentavano di dolore al ginocchio e sono stati confrontati con ciclisti asintomatici.

Più o meno nello stesso periodo in cui il FitKit è diventato disponibile negli anni ’80, Greg Lemond ha scritto e pubblicato il suo libro sul “Ciclismo”, che ha un capitolo intero dedicato all’adattamento o alla regolazione della bicicletta. La consapevolezza che servissero metodi più precisi cominciava a crescere.

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1984 – il sistema clipless dei pedali

La maggior parte dei ciclisti sarà sicuramente d’accordo sul fatto che il punto di svolta per il bikefitting, inteso come scienza, sia stato nel 1984, quando Look ha lanciato con successo in commercio i pedali PP65 e la tacchetta DELTA. Con questo lancio, infatti, sono nati i pedali a sgancio rapido.

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Perché l’introduzione del sistema clipless è stata un punto di svolta? Perché ora il piede era fissato al pedale, e all’inizio non c’era il float (possibilità di ruotare il tallone) nel sistema. Ciò ha reso tutte le catene cinetiche del corpo umano più inclini alla quantità di momento ascendente e alle forze di coppia. Come risultato di questo posizionamento fisso e rigido dei piedi e delle scarpe, l’insorgenza di dolore e lesioni al ginocchio è aumentata nei ciclisti che utilizzano questi pedali. Da questo momento in avanti, i pedali hanno subito una evoluzione per includere il float, per dare alla gamba maggiore libertà di movimento.

Pratiche comuni negli anni ’90

Per determinare le dimensioni del telaio, all’inizio degli anni ’90, il ciclista saliva sulla bici e sollevava l’intero telaio fino a quando non premeva contro la zona perineale. Si riteneva spesso che la distanza consigliata tra le ruote e il pavimento fosse compresa tra 7 e 15 cm. Per lo scorrimento avanti/indietro della sella veniva spesso utilizzato un goniometro per misurare l’estensione del ginocchio nella parte inferiore della corsa del pedale, che doveva essere compresa tra 25° e 30°. Per determinare l’avanzamento o l’arretramento della sella era pratica comune utilizzare il metodo della “linea di piombo” che mirava ad allineare il ginocchio in linea verticale con la punta della scarpa, mentre altre varianti di questo metodo utilizzavano la prima articolazione metatarso-falangea , o anche il perno del pedale al posto della punta della scarpa.

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Queste erano le pratiche comuni negli anni ’90. Naturalmente, ci sono state altre filosofie nel corso degli anni e, con il progredire della tecnologia, è aumentata anche la comprensione di alcune di queste variabili di bikefitting. Ad esempio, Hamley e Thomas nel 1967 oltre a Nordeen-Snyder nel 1977, hanno suggerito di impostare l’altezza della sella al 100% della lunghezza trocanterica della gamba,  per risparmiare sul consumo di ossigeno. Inoltre, la lunghezza della pedivella dovrebbe essere un quinto dell’altezza del cavallo del soggetto (Gross e Bennett, 1976) e il manubrio dovrebbe avere la stessa larghezza delle spalle del ciclista per consentire ampio spazio per la respirazione e il controllo (DeLong, 1974).

Queste raccomandazioni, tuttavia, avevano poche prove a sostegno, ma sembrano essere rimaste ben solide nel tempo e ancora oggi la maggior parte dei biomeccanici per il ciclismo pratica ancora queste idee. (Sarebbe il caso di chiamarli ancora biomeccanici, quindi?!).

La svolta degli anni 2000

Durante gli anni ’90 c’erano pochissimi centri al mondo che disponevano sia dell’esperienza, sia delle competenze, sia della tecnologia per eseguire il bikefitting come le conosciamo oggi. Uno di questi era il Boulder Center for Sports Medicine (BCSM), fondato e guidato da Andy Pruitt, che possedeva il primo sistema di motion capture in 3D disponibile prima per gli atleti élite e poi, nel 1998, aperto a tutto il pubblico.

Solo nel 2007 si è assistito, però, al lancio dello strumento che ha avuto probabilmente il maggior successo nel bikefitting, Retul.

Retul è un sistema di motion capture che misura la lunghezza e le relazioni trigonometriche tra i marker posizionati nel corpo. Di conseguenza, questo sistema dipende fortemente dal posizionamento dei marker e dalla stabilità delle telecamere di registrazione. Retul ha consentito ai negozi di biciclette e ai meccanici (non bio-meccanici) di biciclette di accedere a una tecnologia che poteva essere trovata solo nei laboratori di biomeccanica delle Università o nei centri di ricerca. Come Retul ne sono nati altri, da Selle Italia a Guru, passando per Shimano e Trek.

Purtroppo, però, ci sono state delle conseguenze… L’aspetto negativo della divulgazione di tale tecnologia è stato ovviamente l’emergere di tecnici, meccanici e proprietari di negozi di biciclette con una conoscenza superficiale della biomeccanica, dell’analisi dei dati e del tracciamento dei dati. Ciò ha portato a interpretazioni errate delle cifre e registrazioni inaffidabili dal sistema.

Il Bikefitting di oggi

Recentemente nuove tecnologie derivanti dall’industria aerospaziale e dall’ingegneria robotica hanno fornito sistemi promettenti nel campo dell’analisi del movimento umano e della biomeccanica. Questi sistemi sono sensori inerziali che usano tecnologie come accelerometri, magnetometri e giroscopi e possono essere un ponte tra sistemi complessi presenti nei laboratori di analisi del movimento a sistemi clinici con varie limitazioni, fornendo le potenzialità per un’analisi tridimensionale dinamica del movimento senza i vari vincoli delineati dai sistemi menzionati nel paragrafo precedente.

Numerosi studi hanno riportato l’uso di sistemi basati su diversi tipi di sensori inerziali, compresi quelli basati su accelerometri o giroscopi. Tuttavia, comunemente questi due tipi di sensori (accelerometri e giroscopi) sono combinati per lo studio del movimenti umano, quindi anche del bikefitting, con conseguente aumento tangibile dell’accuratezza.

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Grazie alle loro dimensioni ridotte e alla loro portabilità, questi sensori inerziali potrebbero essere un’opzione ottimale per l’analisi del movimento umano, lo studio della biomeccanica della pedalata, l’analisi della corsa nel running e nell’atletica leggera, la valutazione del movimento in palestra come prevenzione o come rieducazione post infortunio, ma anche una analisi molto approfondita di gesti molto tecnici tipici di ogni sport.

Io ho iniziato ad usare i sensori Leomo per i miei test di valutazione biomeccanica della pedalata (e non solo!) già da diverso tempo e ho ottenuto una precisione impensabile se paragonata ad una analisi video.

Con Leomo, attraverso 5 sensori posizionati su entrambe le cosce, su entrambi i piedi, e nella zona lombare della schiena, è possibile vedere in tempo reale dati davvero molto interessanti, come le zone della pedalata in cui si hanno i punti morti, gli angoli di estensione e di movimento della gamba, la stabilità del bacino sulla sella, oltre a molti altri.

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