Ritchey Swiss Cross : 4 motivi per sceglierla

Secondo il dizionario della lingua italiana Treccani con la parola “acciaio” si intendeva il “nome del ferro indurito per cementazione con il quale si facevano le punte delle armi bianche”, ma anche, secondo i Romani, il “nome con cui per lungo tempo è stato designato un tipo di ferro particolarmente duro e resistente adatto per la fabbricazione di armi e armature”.

Ritchey Swisscross

Il Sig. Tom Ritchey, quando pensò alla Swiss Cross (e alla sorella Outback), credo abbia sfogliato il Treccani, prima di disegnarne il telaio. Linee classiche, tubi tondi, longilinei, leggeri e performanti, con qualche dettaglio che spicca agli occhi solo di chi è più attento, o di chi ha abbastanza esperienza nel campo per poter apprezzare certi accorgimenti. Tutte le caratteristiche che dovrebbe possedere una bicicletta, oltre ad una armatura, che dividono i prodotti di qualità mediocre da quelli ottimi, quelli commerciali da quelli per gli esperti, o che separa in maniera più netta e nitida quella sottile linea tra la vita e la morte. La longevità di Ritchey trasuda di progettazioni e costruzioni di ottime armature.

Le sorelle: la Swiss cross e la Outback sono sorelle, si somigliano ma hanno caratteri diversi e pretendono di conservare la propria identità senza essere confuse tra loro dalle vecchie signore con le borse della spesa che incontrano per strada. La Outback è la sorella “zingara”: il carro più lungo, tanti fori filettati e agganci predisposti direttamente al telaio per poter decidere di montare qualsiasi tipo di bikepacking abbiate in mente. La Swiss Cross, invece, pur essendo equipaggiata con la stessa serie di tubi in acciaio, è più veloce, agile e leggera, mostra una chiara vocazione alla stabilità ed alla comodità. E’ pensata per il ciclocross, il gravel, il packing di un solo giorno o di pochi giorni, proprio come la sorella che vorrebbe essere ribelle, ma non si allontana mai troppo da casa e fa sapere sempre dove si trova. 

Sempre il dizionario Treccani, in una definizione più recente recita: “l’acciaio è utilizzato di frequente come termine di paragone per indicare robustezza, resistenza, tenacia” , ed avendo testato la Swiss Cross posso affermare che la definizione sintetizza in modo conciso, ma molto chiaro le tante sensazioni provate pedalandoci sopra.

Equipaggiamento

La Swiss Cross che ho avuto il grande piacere di provare era equipaggiata così:

  • Trasmissione completa Sram Rival con freno a disco idraulico
  • Ruote Ritchey Zeta con il canale largo apposito per il gravel e gli sterrati in generale
  • Attacco manubrio Ritchey WCS in carbonio da 100 mm
  • Manubrio Ritchey WCS Butano e reggisella Ritchey WCS in carbonio con diametro di 27,2 mm
  • I copertoni inizialmente erano gli Alpine JB Tire di Ritchey con larghezza di 33 mm, molto veloci e scorrevoli, con un disegno del battistrada espressamente realizzato per i terreni asciutti e compatti.
Copertoni Vittoria Terreno Wet

Dopo le prime prove, causa anche le avversità atmosferiche, li ho sostituiti con i Vittoria Terreno Wet in Graphene, sempre 33 mm di sezione. Battistrada decisamente più tassellato, pur mantenendo una buona scorrevolezza sui terreni duri: a mio modo di vedere un ottimo compromesso per tutte le stagioni, soprattutto per chi non ha voglia o necessità di sostituire spesso le coperture, scegliendo in base alle condizioni. Sono specifici per il ciclocross, ma non sfigurano nemmeno in un utilizzo gravel, anzi. Li trovo anche leggeri, che non guasta mai. Entrambi i modelli di pneumatico testati sono “tubeless ready”, anche se io li ho testati con camera d’aria.

 

Come sempre, prima di ogni test che si rispetti, ho riportato le mie misure, in modo da pedalare nel modo biomeccanicamente più corretto, senza dover sostituire i componenti montati di serie. Ho alzato la sella di 6 mm ed arretrata di 2,5 mm, ho tolto tutti gli spessori ad anello sotto l’attacco manubrio e spostato il tutto più in basso possibile e, anche se non ho raggiunto l’estensione della schiena e delle braccia che desideravo, sono comunque riuscito ad ottenere un setting più che buono per poter pedalare proficuamente.
L’officina di Bikecafe, invece, si è sincerata che fosse tutto al meglio per quel che riguardasse la meccanica, controllando l’olio Avid dei freni, le pastiglie del Rival, il centraggio dei dischi, la campanatura delle ruote e la corretta lubrificazione di tutti i cuscinetti.
Bandiera a scacchi abbassata, si può partire!

Le prime uscite

La collina morenica di Rivoli e Villarbasse, oltre al Moncuni sopra Reano, sono state il teatro di diverse uscite con la Swiss Cross. I sentieri e le strade in ghiaia che si incontrano sono, secondo me, ideali per poter testare una gravel: veloci, scorrevoli e con qualche tratto tecnico dove bisogna sapere come e dove infilare la ruota anteriore.
Nonostante io non sia un “manico” di prim’ordine, mi piace andarci con bici gravel e ciclocross. E già che ci sono, cerco anche di andare meno piano di quel che potrei permettermi. La prima sensazione che ho avuto, dopo solo poche pedalate è stata assolutamente quella di “stabilità”. Infatti, viaggia come se fosse un treno lanciato sui binari, anche sullo sconnesso a velocità sostenuta, permettendo di mantenere la trazione di spinta sui pedali senza colpi a vuoto. I copertoni da 33 mm non fanno rimpiangere le sezioni più larghe, ma sono sicuro che se si montassero gomme da 38-40 mm sarebbe ancora più evidente questo aspetto. Inoltre, l’acciaio e lo specifico design del telaio dissipano in maniera egregia le vibrazioni che arrivano dal terreno. Il connubio freni e dischi risponde bene e le ruote non si scompongono mai, rimangono stabili rendendo sicura la guida e danno molta fiducia.

Le curve veloci sono il terreno ideale per questa Ritchey. Il ditino indice era pronto sulla leva del freno, ma non è mai stato richiamato al suo utilizzo più del dovuto, anzi molto molto meno rispetto ad altre bici. La misura del passo della bici è più lunga rispetto alle ciclocross più pure, l’angolo dello sterzo leggermente più aperto, permettendo non fare mai “overlap” (toccare la ruota anteriore con la punta del piede), è piacevole, ma a discapito di un briciolo di agilità. Io non l’ho rimpianta.

E in salita? Nonostante i grammi in più sulla bilancia rispetto ad una telaio in carbonio di alta gamma non si fa trascinare nelle salite e nei tratti più impegnativi. A dirla tutta, l’ho trovata davvero ben responsiva e scorrevole, sapendo che in salita normalmente vedo apparire un buon numero di Santi, di quelli che si possono leggere sul calendario e invocare quando si è amareggiati per la bassa velocità nonostante la tanta fatica.

Unico piccolo appunto, se proprio vogliamo trovare un difetto a questa splendida bici, lo farei al tubo dello sterzo: non è conico, infatti presenta l’alloggiamento per cuscinetti da 1’ 1/8 per entrambi, sia al superiore sia al cuscinetto tra la testa della forcella e il telaio. Ecco, personalmente, avrei montato una scatola dello sterzo conica con cuscinetti integrati, la usatissima 1’ 1/8 – 1’ ½. Cosa potrebbe cambiare? Normalmente lo sterzo conico rende la zona dell’avantreno più rigida, scattante e agile, anche se meno comoda. Per il mio modo di andare in bici, per il fatto che mi piace lasciare andare i freni in discesa, maggiore rigidità nella parte anteriore potrebbe permettere una guida ancora più precisa e sicura. È anche vero che cozzerebbe un po’ con lo stile classico del telaio e con la vocazione a cui è stato destinato quando è stato concepito.

La trasmissione, composta interamente dal ben rodato Sram Rival con freni a disco idraulici si conferma un ottimo connubio qualità / prezzo. L’impulso di cambiata è preciso e veloce, a tratti lievemente più ruvido di un gruppo Shimano di pari gamma, anche se è caratteristica comune di ogni sistema Sram con cambiata meccanica.

Il trittico era (ovviamente!) tutto Ritchey. Pipa e manubrio rendono molto precisa la guida, senza creare sovraccarichi ai polsi e fastidiosi formicolii alle mani. La scelta delle quattro viti di serraggio dell’attacco manubrio poste a 220°, oltre ad essere una valida soluzione estetica distintiva, consente una coppia di serraggio maggiore. Un lungo discorso di elogi andrebbe fatto per il tubo reggisella. E’ importante soprattutto dire che due viti con innesto esagonale da 5 mm supportano il sellino con un serraggio forte e sicuro, che regolazioni possono essere micrometriche. L’ideale per ogni ciclista e l’ideale anche per il biomeccanico che troverà agevolmente l’inclinazione corretta di qualsiasi tipo di sella.
Tutto il trittico: Leggero, funzionale, concreto.

Conclusioni

Riassumendo: la Swiss Cross è una bici che regala sicurezza, feeling e coraggio. Come già detto, è molto stabile e precisa. Autorizza ad osare in discesa senza nessun rischio di perdere il controllo, ma rimane scorrevole anche in salita e nei tratti in cui bisogna spingere.

L’armatura in acciaio costruita da Tom Ritchey è davvero un’ottima bicicletta gravel.

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